Azienda Ospedaliera-Universitaria di Modena
 
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Policlinico NewsLetter. Anno 2 n. 4

Nadia Tondi nel giorno dei saluti
Nadia Tondi nel giorno dei saluti

NEWS - 42 anni di Policlinico, il racconto di Nadia Tondi

Nadia Tondi è una figura che, al Policlinico, tutti conoscono. Un nome che è facile associare a un volto tra le centinaia di dipendenti del nostro ospedale, una collega per la quale calza alla perfezione la definizione di “istituzione” anche se lei preferisce definirsi "famigerata”.

Nadia, del resto, il prossimo settembre 2016 andrà in pensione dopo 42 anni di servizio in questo ospedale, dopo aver visto l’epoca degli Istituti Ospedalieri di Modena (IOM), quella della Unità Sanitaria Locale 16 per chiudere con l’Azienda Ospedaliera e poi con l’Azienda Ospedaliero- Universitaria.

Quando Nadia ha cominciato la scuola infermieri, era il 1974, il Policlinico – inaugurato nel 1963 - aveva appena compiuto undici anni di vita, si può quasi dire che profumasse ancora di nuovo. Oggi, il Policlinico di primavere ne ha messe assieme ben 53. Di questa lunga storia abbiamo parlato con Nadia che ringrazio per la disponibilità.

 

Nadia, cominciamo dalla Scuola convitto per infermieri, una parola che i giovani che si iscrivono a infermieristica oggi non conoscono

Ho frequentato la scuola convitto nel 1974-1976. Si chiamava convitto perché era una scuola in cui si dormiva e si viveva in comunità. All’inizio mangiavamo e studiavamo al V piano, in quello che oggi è la sede del Servizio di Prevenzione e Protezione. Quando sono arrivata io, già gli alloggi erano fuori dall’ospedale, mentre in origine le allieve dormivano dove oggi c’è il Laboratorio Centralizzato. La Scuola aveva lo scopo di formare infermieri professionali in un momento in cui si stava cominciando a ridurre la presenza delle Suore in corsia e dove era necessaria una maggiore professionalizzazione. Facevamo 160 ore di tirocinio a turni e questo significa che si trattava di un corso fortemente incentrato sulla pratica e sul rapporto immediato col paziente.

Terminata la scuola, quanto tempo hai impiegato per l’assunzione

Nel luglio 1976 ho terminato la scuola e il 9 settembre dello stesso anno sono stata assunta, avevo 18 anni e mi assegnarono alle Sale Operatorie di Ortopedia come strumentista. La mia Caposala era Anna Malagoli e ho lavorato con alcuni dei chirurghi che hanno fatto la storia del nostro ospedale: Paolo Bedeschi, Alessandro Caroli, Tommaso Lupino, sino ai più giovani come Antonio Vaccari Antonio Landi. L’organizzazione delle sale era diversa dall’attuale. Vi era una strumentista per tre sale operatorie e gli strumenti erano lavati, sterilizzati e riconfezionati in loco, non esisteva una centrale di sterilizzazione come oggi né era immaginabile un sistema di strumenti usa e getta. Avevamo i cosiddetti “tavoli madre” poi lavavamo i ferri e li sterilizzavamo o nei bollitori per 20 minuti fra gli interventi o nella Stufa di Pasteur a 160-180 gradi per 120-180 minuti dopo averli confezionati nelle cassette per i diversi interventi.

Nel 1978 sei poi passata in pediatria poi al Blocco Operatorio

Nadia con alcune colleghe nella sla sterilizzazione del Blocco operatorio
Nadia con alcune colleghe nella sla sterilizzazione del Blocco operatorio

Sono rimasta in Pediatria per sei mesi come aiuto della Caposala, nel marzo 1979 mi hanno assegnata al Comparto Operatorio del IV piano come Caposala con Suor Valentina.Il Comparto era situato dove oggi c’è l’Endoscopia digestiva, nella famosa Sala Operatoria col teatro anatomico dove gli studenti assistevano agli interventi chirurgici. La nostra sala ospitava le equipe di Chirurgia Toracica del prof. Renzo Lodi, la Chirurgia 1° - Urologia dei professori Paolo Ferrari, Paolo Casolo e in seguito Walter Artibani, la Chirurgia d’Urgenza del prof. Nicola Cortesi che trattava la quasi totalità dei politraumi e muoveva i primi passi nella laparoscopia. Avevamo anche le urgenze delle equipe di Patologia Chirurgica del prof. Massimo Saviano e la chirurgia Vascolare del prof. Giuseppe Tuscano. Ricordo che negli anni 80 esplose la sala operatoria Cardiochirurgia di Parma e noi ospitammo 2 chirurghi e gli interventi per alcuni mesi. Nei primi anni 90 è stata attivata anche una consulenza di chirurgia pediatrica con l’Ospedale Gaslini ed un consulente (dottor Antonino Rizzo, poi primario a Bari) veniva ad effettuare gli interventi nel nostro comparto, fino alla variazione di consulenza con la Chirurgia pediatrica dell’Ospedale Sant’Orsola che portò al Policlinico il prof. Alfredo Cacciari e il dottor Pierluca Ceccarelli che, dal 1998 vennero definitivamente acquisiti dall’ospedale.

 

Nel 1992 hai vissuto in prima persona il primo espianto d’organo

Ricordo GP, una ragazza di soli 21 anni, stroncata il 21 ottobre 1991 da un’emorragia cerebrale e i tantissimi amici che attendevano davanti alla Rianimazione, che allora era nell’atrio centrale, il momento dell’espianto: dovetti passare tra questi ragazzi, mentre mi recavo in sala operatoria. Quella sera erano tanti i sentimenti che provavo. Da un lato, quello professionale, c’era la paura per una cosa mai vista: mi preoccupavo di aver esplorato in modo approfondito tutti gli aspetti e di aver procurato tutto il materiale necessario. Dal punto di vista emotivo, per tutta l’equipe infermieristica è stato un trauma: il concetto del “cadavere a cuore battente” non era acquisito e contrastava con molti comportamenti routinari per un infermiere di Sala Operatoria ed ha avuto un grosso impatto su tutti noi. C’era poi il lato umano e l’immagine della mamma che saluta la figlia sulla porta del reparto è stato un momento segnante. Dopo quel saluto ne ho visti molti altri, tutti toccanti e tutti diversi pur nella loro somiglianza. Quello dell’ottobre del 1991, però, è stato il primo, un vero spartiacque che ha segnato tutti noi.

Trattandosi di prelievi per trapianti multiorgano spesso venivano equipe da diversi ospedali per collaborare con noi. Molto stretta era la collaborazione con l’Ospedale Le Molinette di Torino e con la Cardiochirurgia del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna del prof. Angelo Pierangeli, scomparso nel 2010. C’era poi l’equipe del prof. Giuseppe Gozzetti, sempre di Bologna, tra le cui fila militava, tra gli altri, Elio Iovine che sarebbe poi venuto nel 2000 al Policlinico per attivare, assieme al prof. Daniele Pinna, il programma di Trapianti di fegato. Vorrei ricordare anche l’equipe di Cardiochirurghi della Sardegna guidata dal prof. Alessandro Ricchi che sarebbe morto assieme al suo assistente Antonio Carta e al tecnico Gian Marco Pinna nel drammatico incidente aereo del Monte dei Sette Fratelli, in provincia di Cagliari, del 24 febbraio 2004.

L’ultima parte della tua vita professionale, infine, l’hai trascorsa agli Ambulatori Polispecialistici 4°piano.

Nel novembre 1998 fui assegnata dalla Dr. Vanna Manzini a supervisionare il cantiere ed a pianificare l’attività che vi si sarebbe svolta, sotto la supervisione della dr.ssa Elda Longhitano. Questa nuova struttura aveva lo scopo di raggruppare tutti gli ambulatori chirurgici in un unico ambiente moderno e funzionale, mentre prima erano sparsi nelle diverse Cliniche in sale di degenza e difficilmente monitorabili. Lavorammo sei mesi per adattare il progetto architettonico alle nostre esigenze organizzativa ma il risultato, inaugurato il 20 marzo del 1999, fu soddisfacente. Ricordo le liti con gli architetti, Zini e Parmeggiani, che avevano le loro idee di design; l’allora direttore generale Augusto Cavina scherzò il giorno dell’inaugurazione affermando con un sorriso che gli architetti erano “usciti esauriti”dal confonto con le Caposala… si riferiva a me a Luisa Andreotti che aveva gestito il cantiere dell’Unità Ricovero a Pagamento (URAP), inaugurata in quegli stessi giorni. Gli architetti sono creativi e non sempre hanno l’occhio per gli aspetti sanitari. Ad esempio, non avevano previsto la presenza delle lampade scialitiche negli ambulatori chirurgici e degli scarichi a pavimento in quelli urologici!

Hai nominato molte persone durante questa chiacchierata. Ce n’è qualcuna che vorresti ricordare in maniera più specifica?

Sarebbero molte ma alcune penso meritino una menzione speciale. Anna Maria Malagoli e Suor Valentina Tomasinisono state le due Caposala che hanno dato l’impronta alla mia modalità di lavoro come coordinatore. Loretta Sandoni è stata la collega e “gemella” con cui pur essendo diverse sotto tutti gli aspetti, come coordinatori abbiamo lavorato in sintonia e rispetto anche nei momenti più difficili, come quando gestimmo l’integrazione nel Blocco operatorio di tutto il personale infermieristico che cessava di essere legato a un unico primario per diventare un’equipe di professionisti intercambiabile. Fu una vera rivoluzione copernicana perché fu necessario cambiare non solo il modo di lavorare ma anche le relazioni con i diversi chirurghi, abituati ad avere la propria equipe. Vorrei ricordare, ancora, Ilaria Bavutti in sala operatoria, Luana Bissi e Geri Monica negli ambulatori Polispecialistici 4° piano: sono state le collaboratrici che mi hanno affiancato maggiormente in questi anni, sposando le linee concordate e partecipando attivamente nella attuazione della gestione dell’attività.

Tu hai vissuto il passaggio di tre Enti al Policlinico.

Ho visto gli IOM dal 1976 al 1981, l’Unità Sanitaria Locale 16 dal 1981 al 1993, l’Azienda USL dal 1993 al 1994 e l’Azienda Ospedaliera. Dal punto di vista tecnologico la medicina ha fatto passi da gigante e oggi riusciamo a curare patologie che un tempo erano una condanna. Ancora molto c'è da fare e credo che una sfida per tutti i giovani infermieri sia quella di riuscire a mantere il rapporto col paziente che è importante esattamente come una buona cura e una tecnologia di avanguardia. 
Se mi è permesso vorrei ringraziare tutti quelli con cui ho collaborato in questo lungo periodo, medici personale sanitario – tecnico – amministrativo, personale delle ditte appaltatrici per la disponibilità e stima dimostratami. Grazie e buon lavoro a tutti.

Nadia con Ivan Trenti il giorno del salutoIl gruppo degli Ambulatori Specialistici

Gabriele Sorrentino
Ufficio Comunicazione

 
 
 
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