Azienda Ospedaliera-Universitaria di Modena
 
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Policlinico NewsLetter. Anno 1 n. 3

I nuovi primari si presentano

Nel numero precedente abbiamo intervistato il dottor Roberto Adani, nuovi direttore della Chirurgia della Mano. In questo abbiamo raggiunto la dottoressa Elisabetta Bertellini, il prof. Giuseppe Boriani e il prof. Stefano Cascinu. 

Elisabetta Bertellini
Elisabetta Bertellini

Elisabetta Bertellini (Anestesia e Rianimazione 2)

Cosa si prova a dirigere l’Anestesia dei due più importanti ospedali della provincia?
Dirigere, insieme all'Anestesia e Rianimazione del NOCSAE, l'Anestesia 2 del Policlinico rappresenta, per me, tornare nella struttura dove ho svolto una parte importante della mia attività professionale, ma con l'esperienza dirigenziale maturata in altri ospedali. Affronto questo incarico certamente con un pizzico di emozione, ma allo stesso tempo con la consapevolezza dell’importanza dell' incarico affidatomi e della sfida professionale,integrare l’attività di Servizi, che hanno fino ad oggi lavorato in parallelo, realizzando percorsi comuni, al fine di assicurare, in entrambe le Strutture,i più alti livelli tecnici e organizzativi, consoni all'importanza assistenziale che i due ospedali ricoprono non solo in ambito provinciale, ma anche regionale. E' mio obiettivo, inoltre, fornire ai colleghi, in particolare a quelli più giovani, opportunità di crescita professionale, con collaborazioni e frequenza in centri d'eccellenza in Italia ed all'estero, nei differenti ambiti della nostra complessa disciplina.
Quali sono le sfide della moderna anestesia e rianimazione?
Sul piano della gestione del paziente chirurgico, l’anestesista deve farsi carico dell’intero percorso perioperatorio, dalla corretta preparazione del paziente all'intervento all’analgesia pre-, intra- e postoperatoria. Sul piano prettamente tecnico, una grande sfida è quella dell’evoluzione delle tecniche anestesiologiche in parallelo a quelle chirurgiche (pensiamo alla chirurgia mininvasiva, laparoscopica e robotica, al monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio, all'Awake per la Neurochirurgia, etc...),tale da permettere l’esecuzione ottimale di interventi chirurgici sempre più efficaci. E' dalla collaborazione interdisciplinare, infatti, pur nel rispetto dei reciproci ruoli e delle competenze, che si possono ottenere i migliori risultati, sia assistenziali che organizzativi.Altri ambiti molto importanti riguardano l'innovazione nel trattamento del paziente critico in Terapia Intensiva-Rianimazione,ad esempio l'emofiltrazione nell'insufficienza d'organo, la ventilazione non invasiva in condizioni trattate, in un passato anche recente, con metodiche invasive.
Quali sono i suoi principali campi di interesse scientifico?
In ambito anestesiologico mi occupo,in modo particolare, di anestesia loco-regionale, delle indicazioni nei vari ambiti chirurgici e del loro utilizzo nel trattamento del dolore postoperatorio. Stiamo lavorando, anche, sul monitoraggio emodinamico, mini o non invasivo,del paziente sottoposto ad intervento di chirurgia maggiore. In ambito intensivistico rivestono un particolare interesse e sono oggetto di multicentriche cui partecipiamo, l'emofiltrazione utilizzata nei differenti quadri clinici, il monitoraggio neurofisiologico in Neurorianimazione, la ventilazione non invasiva.
Casi difficili e spesso penosi. Qual è il ruolo dell’anestesista quando un paziente soffre?
Lei ha colto un aspetto molto importante della nostra disciplina, che ci porta ad affrontare anche pazienti, spaventati per quello che sta loro accadendo, in ansia per un intervento chirurgico,con gravi sofferenze o con profonda compromissione fisica e non solo. La prima missione dell’anestesista è proprio quella di alleviare il dolore e la sofferenza: “Opus divinum est sedare dolorem”. Nel confrontarsi con la sofferenza dei pazienti l’anestesista/rianimatore deve mantenere l’atteggiamento razionale necessario per impostare l’iter terapeutico appropriato, ma allo stesso tempo è coinvolto da una naturale forma di empatia verso il paziente e, spesso,verso i familiari e quanti lo circondano. Questo duplice aspetto, che è comune ad altre discipline mediche,è particolarmente accentuato nella nostra professione e tutto ciò la rende ancor più ricca di significati, non solo professionali ma anche personali.

 
Giuseppe Boriani
Giuseppe Boriani

Giuseppe Boriani (Cardiologia)

E’ passato poco più di un mese dal vostro insediamento: che clima avete trovato al Policlinico?
Ho trovato un reparto e un ospedale con grandi competenze. Quello che più mi ha colpito è la voglia di fare squadra, di lavorare assieme per decidere la strategia diagnostica e terapeutica col miglior rapporto fra rischi e benefici. Grazie a questo lavoro di squadra è possibile gestire casi complessi in un’ottica di sistema che coinvolge Pronto Soccorso, Medicina Interna e Area Critica, Medicine,. Chirurgie, Oncologie. Un bel clima davvero.
Quali sono i suoi progetti per implementare e rafforzare il ruolo dell’Unità operativa da Lei diretta?
Il primo obiettivo è consolidare i livelli di competenze che già esistono nella Struttura. Vorrei poi potenziare settori come l’aritmologia e l’ elettrofisiologia che sono già ben presidiati e che possono ulteriormente svilupparsi diventando il settore di maggiore specificità del Policlinico nell'ambito della rete cardiologica provinciale. Lo sviluppo tecnologico permetterà ulteriori miglioramenti nel trattamento anche della cardiopatia ischemica, delle valvulopatie dello scompenso cardiaco dove credo sia importante investire risorse in un’ottica di assistenza, didattica e ricerca che sono le tre anime di un Policlinico universitario.
Ha da raccontarci un aneddoto o una curiosità sui primi giorni della sua esperienza modenese?
Uno dei primi pazienti che ho visitato mi ha raccontato di aver avuto un <balordone>, termine che, pur venendo da Bologna, non conoscevo. Grazie ai miei collaboratori ho potuto svolgere un veloce aggiornamento che mi ha permesso di tradurre correttamente le parole del mio assistito in <sincope> e impostare la giusta terapia ( l’impianto di un pacemaker), a seguito dei riscontri clinici.
Come vede la medicina del futuro nella sua specialità?
Come ho accennato vi è un grande fervore sull’innovazione tecnologica e la tecnologia ha sicuramente permesso e permetterà importanti miglioramenti nelle terapie grazie al perfezionamento di nuovi dispositivi per le aritmie, le valvulopatie, la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco, l’embolia polmonare altre patologie di grande impatto nella popolazione. La tecnologia, però, deve rimanere un mezzo non deve essere percepita come un valore assoluto. Le nuove risorse terapeutiche vanno soggette ad adeguata valutazione clinica, le scelte terapeutiche vanno condivise col paziente sulla base delle sue caratteristiche. E’ evidente che in questo percorso è decisivo il rapporto di fiducia e di dialogo che si crea tra il cardiologo,il paziente e i suoi famigliari. E’ nostro compito dedicare molto tempo a questo aspetto di dialogo, comunicazione e condivisione, valorizzandolo anche con i nostri studenti e medici specializzandi.

 
Stefano Cascinu
Stefano Cascinu

Stefano Cascinu (Oncologia)

E’ passato poco più di un mese dal vostro insediamento: che clima avete trovato al Policlinico
Conoscevo già molti dei miei attuali collaboratori. Trovo positivo il clima di collaborazione tra tutte le anime del Centro Oncologico che fa sentire tutti parte di un unico sistema, oncologi ed ematologi: mi hanno fatto subito sentire a casa e questo non è scontato. Di questa caratteristica devo ringraziare i miei predecessori e in particolare il prof. Fabbri che in un momento difficile ha saputo creare unità di intenti. Dal punto di vista professionale la casistica modenese è eccellente e può contare su clinici di grande capacità come Gabriele Luppi e Giuseppe Longo. Questa bellissima e moderna struttura, infine, è un luogo ideale per fare ricerca e assistere il paziente.
Quali sono i suoi progetti per implementare e rafforzare il ruolo dell’Unità operativa da Lei diretta?
Modena ha una lunga tradizione, dai tempi del prof. Silingardi, sulla Genetica Oncologica che ora viene portata avanti dalla dottoressa Cortesi. Vorrei contribuire a potenziare questo settore che costituisce un’importante strumento di ricerca sia in campo diagnostico che terapeutico. Un altro aspetto importante per una oncologiamoderna è rappresentato dagli studi con farmaci mai testati nell’uomo: i cosiddetti studi di fase I. Nel COM vi è grande esperienza in tale senso grazie a un gruppo guidato dalla dr.ssa Maur. Infine, il Policlinico, ha al suo interno tante eccellenze chirurgiche. Mi piace fare l’esempio dell’Otorinolaringoiatria, perché per me è stato un settore di cui mi sono sempre occupato in maniera limitata, ma con cui, visto il grande valore della struttura modenese dobbiamo collaborare sempre di più al fine di migliorare l’assistenza dei pazienti e la ricerca.
Ha da raccontarci un aneddoto o una curiosità sui primi giorni della sua esperienza modenese?
In realtà Modena è sempre stata nel mio destino. A Pesaro c’era la dottoressa Catalano che era proprio della scuola di Edoardo Storti che aveva dato grande lustro a Modena e che mi ha raccontato tantissimi aneddoti sul suo maestro. Inoltre, la Pneumologia di Pesaro era legata a quella di Modena tramite il prof. Monzali e quindi noi abbiamo sempre collaborato col Policlinico in particolare con la Chirurgia Toracica del prof. Lodi e del prof. Morandi. Il concorso da associato lo feci a Modena perché era presidente della commissione del concorso col quale ottenni la cattedra a Messina. Insomma, Modena era nel mio destino, come se il karma mi chiamasse, venire qui è stata quindi la conclusione di un percorso iniziato molto tempo fa.
Come vede la medicina del futuro nella sua specialità
Abbiamo ormai capito che non esiste un unico tipo di tumore e che quindi le terapie vanno personalizzate. Sarà una battaglia lunga ma già oggi stiamo ottenendo ottimi risultati. Una categoria di farmaci che sembra promettente e quella della le immunoterapie: ci siamo resi conto che alcuni tumori , come il tumore del polmone, del colon, della vescica, bloccano il sistema immunitario e che quindi è sufficiente stimolare gli anticorpi perché essi possano sconfiggere il cancro.

 
 
 
 
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