Azienda Ospedaliera-Universitaria di Modena
 
Versione stampabile della pagina

Policlinico NewsLetter. Anno 1 n. 3

Patet Omnibus: la storia di un'istituzione attraverso quella del suo emblema

La cancellata di Giambattista Malagoli
La cancellata di Giambattista Malagoli

Prima del Grande Spedale

Era il 996 quando il vescovo di Modena, Giovanni, nella Charta donationis con cui fondava il Monastero di San Pietro, prescriveva l’obbligo di adempiere al dovere di ospitalità . In questo modo si ottemperava, in verità con notevole ritardo, ai dettami del Concilio di Nicea del 325 che aveva prescritto la costruzione in ogni città di un luogo adibito al ricovero dei pellegrini, dei poveri e degli infermi . Per obbedire all’ordine vescovile, i monaci di San Pietro fondarono, poco dopo l’anno Mille, l’Ospitale di San Nicolò, documentato tuttavia soltanto a partire dal 1169 in un documento di papa Alessandro III . Il testamento di Pietro Breda, dell’ 8 gennaio 1248, ci fornisce un interessante elenco degli ospedali presenti in città: Ospedale di San Nicolò, Ospedale del Tempio, Ospedale di San Leonardo, Ospedale di San Cataldo, Ospedale di San Lazzaro, Ospedale di San Salvatore, Ospedale di Santa Croce . A questi vanno aggiunti gli ospedali delle associazioni dei lavoratori, delle Arti, che a Modena erano molto organizzate: l’Ospedale dei Mercanti era in Borgo Saliceto, quello di Santa Maria dei Battuti era nei pressi di Porta San Pietro. Interessante anche l’Ospedale della Confraternita di San Geminiano, fondato nel 1348 in occasione di una pestilenza e che nel 1448 venne convertito in monastero . Oggi ospita la Facoltà di Giurisprudenza. 




 

La Santa Unione (1541)

La concentrazione ospedaliera a Modena, cioè l’accorpamento in un’unica amministrazione delle antiche Opere Pie, avvenne nel 1541 sotto la spinta di un lungo periodo di forte carestia durato tre anni che aveva mostrato tutta l’inadeguatezza del sistema assistenziale cittadino. I Conservatori del Comune approvarono in tutta fretta la riforma, proposta dal canonico Guido Guidoni, con l’assenso ducale, nel timore delle resistenze che essa avrebbe provocato. Le vecchie confraternite, certamente inefficienti, vennero esautorate mentre il controllo del nuovo ente fu affidato all’oligarchia cittadina. La decisione provocò uno scontro tra il potere laico e il Vescovo Morone per la composizione degli organi collegiali di governo della Santa Unione (1541-1764).
La Santa Unione accorpò i principali ospedali presenti in città in quel periodo. Tra questi c’era l’ospedale di S. Lazzaro – l’antico lebbrosario posto vicino all’attuale Policlinico – quello di Santa Maria dei Battuti – posto nela cinquantina di San Lorenzo, a Porta S. Pietro presso il ponte del Calcagno, ricettacolo di infermi ed esposti – l’Ospedale di S. Giovanni della Morte – che si trovava nei pressi di Piazza Grande, originariamente gestito dalla Compagnia che assisteva i condannati a morte e che accoglieva anche infermi e forestieri – quello di San Bartolomeo – gestito dall’Arte dei Pellicciai, che si trovava a Cittanova – quello di Gesù – situato nei pressi di Porta San Francesco e che era destinato all’assistenza dei poveri – quello di San Giobbe destinato agli infermi affetti dal morbo gallico, cioè la sifilide - e, infine, la Casa di Dio, meglio nota come Cadé, che fu la sede dell’Ospedale dell’Unione e che era stato fondato da Guglielmo della Cella nel 1260 nella zona oggi occupata dal vecchio ospedale Civile che ne inglobò diversi locali

Il Grande Spedale e la mano Patente (1761)

 La Santa Unione incorporò anche il Desco dei Poveri, i beni dei Ponti Alto e Basso, i beni della Compagnia dell’Annunziata, l’Opera del Priatto, l’Opera Pia, i beni del Pater Pauperum, tutte Opere Pie presenti in città . All’atto della sua istituzione, la Santa Unione adottò anche l’emblema che da secoli identificava l’assistenza erogata dalle Opere Pie. Si trattava della “ Mano benedicente “, con l’anulare e il mignolo ripiegati, derivante probabilmente da quella della statua di San Geminiano posta nel 1376 sulla Porta Regia del Duomo. Si deve al Duca Francesco III (1737-1780) la costruzione del Grande Ospedale degli Infermi, sorto sul vecchio Ospedale della Santa Unione in Piazza Sant’Agostino che è rimasto in funzione sino al terzo millennio che in origine era intitolato a San Giuseppe, come appare da numerosi documenti delle Sorelle della Carità, l’ordine di suore che ne gestì l’assistenza sino a oltre la metà del Novecento. La prima pietra venne posta nel 1754 e il nuovo edificio fu inaugurato il 30 novembre 1758, ma completato nel 1761; la spesa per realizzarlo, oltre un milione di lire, fu coperta dal Duca, dalla Comunità di Modena e di altri centri della Provincia oltre che da una generosa donazione di Papa Benedetto XIV. Il 30 aprile del 1764 la Santa Unione veniva sciolta e veniva istituita l’Opera Pia Generale dei Poveri, che avrebbe gestito sia l’ospedale, sia il Grande Albergo dei Poveri, costruito sul vecchio Convento degli Agostiniani e sull’antico arsenale ducale, nel complesso che oggi ospita il Palazzo dei Musei . Quindi, il Grande Ospedale Civile, che sorge di fronte alla Chiesa di Sant’Agostino ha assunto quel nome, ora traslato al Nuovo Ospedale di Baggiovara, dalla piazza. In origine esso era solo il Grande Ospedale, intitolato a San Giuseppe, come si evince anche dagli atti delle Suore della Carità, che ne gestivano l’assitenza.
A differenza della Santa Unione, l’Opera Pia era un’istituzione con un forte controllo ducale che drenò anche le risorse delle elemosine che parrocchie, ordini religiosi e corporazioni erano soliti destinare periodicamente alla città . Il Successore di Francesco III, Ercole III (1780-1796) nel 1788 riformò l’Amministrazione, su proposta dall’economista Ludovico Ricci e del Supremo Ministro Giovan Battista Munarini, ripartendo l’amministrazione dell’Opera Pia in tre Aziende: dell’Ospedale, dell’Albergo e del Ritiro. L’Azienda dell’Ospedale gestiva anche le strutture militari e gli ospedali per dementi di Modena e Reggio, oltre al Cimitero di San Cataldo. La riforma del 1788 va collocata nel periodo dell’assolutismo illuminato di Ercole III e tentava, per dirla con una terminologia moderna, di introdurre l’aziendalizzazione nella gestione dell’assistenza. Le Opere Pie furono obbligate a presentare bilanci e statuti per pianificarne il risanamento economico. L’Albergo dei Poveri venne trasformato in una casa lavoro per i poveri che non avevano altro strumento che questuare, grazie a progetti tra l’imprenditoria locale e il governo, che miravano a rilanciare l’economia. L’assistenzialismo venne limitato a chi non aveva veramente mezzi propri e furono quindi inasprite le pene per chi, potendo lavorare, mendicava.  
Nel tempo, quindi, il Grande Spedale si andò caratterizzando sempre più fortemente come un’istituzione laica e, quindi, la mano benedicente – che si può ancora trovare nei rilievi sui finestroni dell’edificio di Piazza Sant’Agostino – divenne “patente!” con il motto "Patet omnibus", che significa “aperto a tutti“ e le trivelle, simbolo di Modena. Questo emblema risale all’Opera Pia generale istituita da Francesco III (1764) al posto della Santa Unione e contraddistinse sia la Congregazione di Carità sia gli Enti Comunali di Assistenza e gli Istituti Ospedalieri Modenesi (1956). La scelta di questo emblema sottolineava la differenza fra un Ente – la Santa Unione – di origine privata e carattere religioso, e la nuova Opera pia, istituzione laica di diritto pubblico . 
Esso si trova sulla cancellata realizzata dal virtuoso Giambattista Malagoli (1729-1797) per il Vecchio ospedale e, raffigurato in foglia d’oro, anche nel bellissimo soffitto affrescato – riportato all’antico splendore nel 2011 – della farmacia dell’Ospedale Civile, in angolo tra Via Emilia Centro e Via Ramazzini, già contrada della Cerca, risalente alla seconda metà del XIX secolo, in due bellissimi ovali che la raffigurano su sfondo blu. Proviene dal Grande Spedale anche il manufatto in ferro battuto con la Mano Patente che ora si trova nell’aula della Direzione generale del Policlinico e che si può ritenere come opera dello stesso Malagoli o della sua scuola . 



La Mano benedicente sul vecchio ospedaleUn distintivo degli IOM

Il prof. Augusto Bonola, dal 1963 al 1965, cofondatore e primo presidente della Società Italiana di Chirurgia della Mano a coniare l’emblema della Società utilizzando la cimasa, cioè la modanatura curva e sporgente, della cancellata del vecchio Ospedale Civile con la “Mano Patente” e il motto, mutuato dall’anatomista Casserio: “Rimatur manus apta manum: mens erue mentem".
Nel 1968 il Policlinico divenne ospedale di riferimento regionale – nell’ambito della riorganizzazione promossa dalla L. 132/1968 – e adottò come emblema la “ Mano patente “ gialla su fondo blu in campo araldico, in ciò facendo propri i colori della città.
Nel 1994 la nuova Azienda Ospedaliera Policlinico di Modena la adottò come proprio stemma, in una versione moderna, più stilizzata, verde chirurgico, che aveva sempre caratterizzato l’edificio. Nel 2007, infine, la Mano Patente scomparve dal logo del Policlinico in virtù della decisione da parte della Regione Emilia Romagna di creare un logo unico del Servizio Sanitario Regionale. Nel 2009, tuttavia, venne utilizzata per coniare il Sigillo dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria Policlinico di Modena donato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante l’inaugurazione del nuovo Pronto Soccorso. Da quel momento gli ospiti d’onore dell’Azienda ricevono questo sigillo, simbolo di una storia secolare di cui il Policlinico è stato tra i protagonisti.

Gabriele Sorrentino

 
 
 
Torna a inizio pagina