Azienda Ospedaliera-Universitaria di Modena
 
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Policlinico NewsLetter. Anno 2 n. 1

Il concorso per la costruzione del nuovo ospedale

Ruggero Balli esamina i progetti presentati al concorso
Ruggero Balli esamina i progetti presentati al concorso

Il Policlinico fu inaugurato nel 1963 ma il suo progetto risale a ben trent’anni prima, al 1933 e solo le vicende belliche avevano interrotto il cantiere quando le fondamenta erano già state in parte scavate tanto da essere utilizzate anche come trincee dai tedeschi. In questo numero del Policlinico News, primo di un anno che sarà caratterizzato dall’avvio di molti cantieri, ci è sembrato interessato dedicare la nostra pagina di storia al momento in cui tutto è cominciato: il Concorso per la costruzione del nuovo ospedale del 1933.
In quell’anno la Commissione del Ministero dell’Interno e dell’Educazione Nazionale, inviatata a Modena dell’Università, aveva dichiarato il Sant’Agostino inadatto alle mutate esigenze della città, accogliendo le perplessità già esposte nel 1931 dal Rettore Pio Colombini nel corso dell’apertura dell’Anno Accademico. Un altro rettore, il noto radiologo Ruggero Balli, nella sua relazione di apertura dell’Anno Accademico 1933-1934 affermò che alla costruzione del Nuovo Policlinico erano legati “tanti interessi sociali e culturali” della città. È la prima di una serie di prese di posizione da parte dell’Università modenese in favore della costruzione del nuovo ospedale, che non verranno mai meno sino all’inaugurazione del Nuovo Policlinico.
Il 5 giugno 1933, a cura della Congregazione di Carità - l’ente che amministrava l’Ospedale e che nel 1938 sarebbe confuita nell’Ente Comunale di Assistenza – venne emanato il bando per la costruzione del nuovo Policlinico che prevedeva di stanziare complessivamente 150.000 lire per premiare i primi tre elaborati e altre 20.000 per premiare i più convincenti. Il terreno previsto per la costruzione era quello compreso tra via Emilia Ovest e via Jacopo Barozzi, dove già esisteva l’Ospedale Ramazzini, che ospitava i pazienti contagiosi e in isolamento, che doveva “essere conservato”. In sostanza, il nuovo ospedale sarebbe sorto vicinissimo al vecchio. Entro il termine del 30 novembre 1933 vennero presentati 29 progetti dovendo essere anonimi, erano tutti contrassegnati da un motto. I partecipanti avrebbero allegato, come di norma si fa nei concorsi pubblici, una busta con i loro dati contrassegnata dallo stesso motto. Da notare che tra i requisiti di partecipazione figurava l’appartenenza al Sindacato. La commissione fu nominata in seguito, come previsto dal bando. La presiedeva l’Avv. Umberto Montanari, Presidente della Congregazione di Carità, ed era composta dal prof. Ruggero Balli, Rettore dell’Università di Modena, dal prof. Piero Galli, Direttore dell’Ospedale di Trieste, dall’Ing. Gino Steffanon, specialista in costruzioni ospedaliere e dall’Ing. Giuseppe Stellingwerf, rappresentante del Sindacato Fascista Ingegneri.
La Commissione decise soprattutto in base all’orientamento delle camere che, “in località avente le caratteristiche metereologiche e climatiche di Modena, è necessario sia, per le sale di degenza, prevalentemente a mezzogiorno”. Lo scopo era godere d’inverno la massima esposizione ai raggi solare e d’estate la minima. Altro criterio di scelta fu “il concentramento degli edifici, la distribuzione e l’economia dei servizi, la disposizione generale, i requisiti sanitari, la dignità di forma e la semplicità decorosa che debbono caratterizzare un moderno ospedale”. Sulla base di questi criteri, la Commissione assegnò la vittoria e il premio di 70.000 lire al progetto Se Avanzo sguitemidi Ettore Rossi (Fano 1894 – Modena 1968) che primeggiava nelle costruzioni ospedaliere tanto da vincere ben quattro concorsi relativi a progetti ospedalieri nello stesso periodo. Il secondo premio venne assegnato a Miseris succurrere disco (imparo a soccorrere i disperati) di Arturo Braga e Giuseppe Casalis, cui andarono 35.000 lire e il terzo (25.000 lire) a Patet Omnibus(Aperto a tutti, come recitava il motto della Congregazione di Carità) di Remigio Casolari. Accanto a questi vennero segnalati e premiati come “meritevoli di particolare riguardo” anche CM2(Umberto Costanzini, Domenico Malaguti e Gaetano Malaguti, Renato Zaccaria, Erio Zaninini), Omegadi Giorgio Rossi e Carlo Tornelli e Nosokomeiondi Franco Petrucci.

 
Ettore Rossi
Ettore Rossi

Se Avanzo Seguitemi (Ettore Rossi)

Nella valutazione dei progetti pesò certamente l’evoluzione architettonica del primo dopo guerra. Sino a quel momento, infatti, in Italia prevaleva l’ospedale a padiglioni come il Galliera di Genova, costruito proprio negli anni Trenta. Gli ospedali a padiglioni erano originariamente su un unico piano. Negli anni Trenta si cominciò a puntare sui due piani, per limitare l’occupazione di terreno. Dagli Stati Uniti, però, giunse la moda degli ospedali a monoblocco, che si innalzavano su molti piani (in America fino a 20).
A queste nuove tendenze si ispirò l’architetto Ettore Rossi che pensò un ospedale all’avanguardia, “formalmente arrangiato alla stregua degli <> di allora”: si trattava di monoblocco a dieci piani che comprendeva l’ospedale clinico, quello sanatoriale e gli Istituti di anatomia. Il nuovo Policlinico avrebbe contenuto anche l’Istituto di Radiologia e terapia fisica, la Cliniche ostetrico-ginecologiche, dermosifilopatica, oculistica e delle malattie nervose e mentali. La Clinica pediatrica venne prevista in alcuni padiglioni a parte, insieme con gli Istituti universitari di anatomia umana normale e anatomia patologica. Se il Policlinico fosse stato costruito allora, sarebbe stato uno degli ospedali più moderni d’Italia. Dal punto di vista architettonico, “La sua parziale notevole altezza è mitigata e quasi non appare perché il corpo centrale elevato si distacca armonicamente da avancorpi minori”e l’edificio veniva impreziosito dalla sontuosità razionalista del “Grande Pettine”.
Il progetto tendeva ad unificare tutti i servizi comuni al centro dell’ospedale: amministrazione, ricerche, cure speciali, radiologia, elettroterapia, cucina, ricaldamento ecc. le Cliniche generali erano distribuite al centro e quelle speciali nei corpi laterali. Per ogni degenza, rivolta a sud, era previsto il reparto donne, il reparto uomini e il reparto bambini. La zona filtro era disposta a nord e aveva un’organizzazione uniforme, cioè per ogni clinica vi erano aule, segreteria, archivio, sale dioagnostiche e operatorie ecc. Montacarichi collegavano le cliniche al centro di distribuzione farmaci, viveri e biancheria, isolati dalle corsie, mentre la disposizione degli impianti igienici era pensata per “evitare ai malati l’attraversamento dei corridoi per recarsi ai gabinetti ed ai bagni eliminando quel confuso, poco estetico ed anti-igienico traffico fuori dalle corsie”.
Rossi predicò una struttura dalla linea semplice: “non vi è nessuna necessità di fare del monumentale creando la <> con ingresso a colonnati, il carattere esterno svela con la sua linea semplice e moderna l’intera funzione di ciascuna massa architettoinica”.Per questo vi erano ampie superfici vetratre a nord, per raccogliere la luce, e finestre a sud che assicuravano ventilazione luminosità senza scaldare troppo le corsie. Il progetto originale prevedeva un Padiglione di ingresso posto a nord tra l’angolo di Via Emilia e via Jacopo Barozzi (F) “rivolto verso la città”, una via d’uscita su via Emilia per i trasporti funebri, due ingressi di servizio sui Jacopo Barozzi. Le ampie zone destinate al giardino erano già state viste allora come “polmoni” per eventuali ampliamenti.

 
Il progetto originaleIl Grande Pettine
 

L’Archivio Storico dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena racchiude, tra gli altri, un piccolo tesoro documentario per la storia dell’architettura ospedaliera italiana che meriterebbe una pubblicazione dedicata. Si tratta di tre faldoni che contengono una parte dei 29 progetti presentati al concorso del 5 giugno 1933 che il 21 di marzo 1934 portò alla scelta del vincitore. Di seguito riportiamo gli altri progetti premiati.

Miseris Succurrere Disco
Miseris Succurrere Disco

Miseris Succurrere Disco (Braga e Casalis)

Il progetto di Arturo Braga e Giuseppe Casalis si rifaceva a quello del nuovo ospedale Maggiore di Milano, al quale Casalis aveva lavorato coma aiutante di Marcovigi. Lo scopo era ridurre al massimo i fabbricati, sviluppando in altezza e accorpando i servizi. Era, insomma, un compromesso tra i padiglioni e il monoblocco.
In particolare i progettisti scrissero “Pur ritenendo che la massima economia di esercizio fosse raggiungibile attraverso l’adozione di un solo edifizio di un numero considerevole di piani, tuttavia abbiamo pensato che più opportuno fosse non esagerare in tal senso. Gli edifizi con più di 6-8 piani sono da noi eccezionali anche nelle città maggiori; conducono ad un notevole agglomerato di infermi, e questo porta a un senso di disagio a quelli che a ciò non siano già abituati dalla vita consueta; presentano inconvenienti costruttivi talvolta notevoli nelle fondazioni"
Per questo motivo Braga e Casalis pensarono a una soluzione di compromesso tra gli imponenti esempi americani (oppure l’Ospedale della Città di Parigi di 14 piani) e la soluzione a padiglioni. Il loro progetto prevedeva un corpo di fabbrica principale composto da edifici collegati tra loro, di edifici di massimo 7 piani.
La parte centrale avrebbe ospitato le cliniche e, al piano terreno ribassato, la Cucina, la Farmacia, il guardaroba e al piano rialzato, gli ambulatori, l’Istituto Radiologico e Terapia Fisica. La centrale termica, la lavanderia e gli alloggi delle suore e delle infermiere sarebbero stati staccati e così gli Istituti anatomici e il Pronto Soccorso.
Il progetto prevedeva l’ingresso da via Jacopo Barozzi perché la via Emilia era considerata troppo rumorosa e trafficata. Interessante notare che il progetto per la necessità “di contenere la spesa entro i limiti stabiliti dal bando di concorso”da considerarsi modesta affidava “alla sola imponenza delle masse la monumentalità degli edifici, abbandonando la tradizione italica che ha fatto in passato della maggior parte degli Ospedali italiani veri monumenti architettonici”.
Questa precisazione è interessante sia perché mette in evidenza una certa sottostima del budget accordato dal bando di concorso, sia perché descrive una fase “essenziale” e “minimalista” dell’edilizia pubblica italiana che sostanzialmente è ripresa anche dal progetto vincitore di Ettore Rossi.
Le camere – da sei letti col lavabo - erano quasi tutte orientate a mezzogiorno e il progetto prevedeva di collocare nell’ala sinistra: la Clinica Medica (1-2 piano), la Patologia Medica (2 piano), la Clinica Neurologica (3 piano), il reparto tubercolotici (5 piano). Nell’ala destra sarebbero state collocate: la Clinica Chirurgica (1-2 piano), la Patologia Chirurgica (2 piano), Clinica Ostetrica – Ginecologica e Maternità (3-4 piani) e Clinica Pediatrica (5 piano). Il corpo centrale avrebbe ospitato la Clinica radiologica e il Centro dei tumori maligni (1 piano), la Clinica Oculistica, la Clinica Otorinolaringoiatrica, la Clinica Dermosifilopatica, la Clinica Ortopedica Traumatologica. Gli ambulatori sarebbero stati ubicati sempre nel corpo centrale, al piano rialzato, in modo da essere autonomi dalle degenze ma di facile accesso.
Il progetto preveva un “Palazzo di ingresso” di tre piani con un ampio ingresso di due piani, che ospitata gli uffici amministrativi e il Pronto Soccorso. A parte erano previsti l’edificio che ospitava il reparto mortuario, l’Anatomia patologica e quello dove erano ubicati la chiesa, gli alloggi di suore e infermiere, la lavanderia, la centrale termica e la stazione di disinfezione. In un altro edificio era ospitato il Reparto di accoglimento d’Urgenza dei malati mentali ed era prevista un’autorimessa per i mezzi di soccorso e di servizio.
Questo progetto si classificò secondo per alcuni inconvenienti, come la presenza del reparto per tubercolotici nell’edificio principali e la proposta di posizionare gli ambulatori fuori dalle cliniche.

 
Patet Omnibus
Patet Omnibus

Patet Omnibus (Remigio Casolari)

Il progetto di Remigio Casolari venne considerato troppo esteso e quindi non conforme alle esigenze del bando di economia di gestione. Si trattava del tipico ospedale a padiglioni che prevedeva ben 9 stabili. L’edificio principale in pianta ricordava una “H” e costituiva il blocco di medicina e chiurugia, separato sia dalla Clinica Neurologica (che ospitava anche la Psichiatria) e dal Padiglione Pediatrico e Ostetrico – Ginecologico. Separati erano anche i Servizi generali, la Cucina, l’Anatomia Patologica, la Dermosifilopatia e la zona deputata alla Disinfezioni.
Interessante notare che il complesso avrebbe dovuto avere la forma di un trapezio irregolare e l’ingresso era previsto anche in questo caso su via Jacopo Barozzi, in quanto collegava due zone della città e aveva la giusta ampiezza.

 
Nosokomeion
Nosokomeion

Nosokomeion (Franco Petrucci, Vincenzo Monaco, Claudio Longo)

Nosokomeion è indubbiamente un lavoro geniale. L’ospedale aveva una forma a “T” ed era alto 11 piani. Gli istituti universitari e le aule ad emiciclo erano nel gambo terminale mentre i reparti erano nel gambo lungo. Le stanze non avevano più di 4 letti ed erano esposte a sud come richiesto dal bando.
Ciò che colpisce dai plastici è la moderna eleganza di questo edificio dalle forme filanti che riescono a donare alla struttura una notevole eleganza e leggerezza, nonostante l’altezza di tutto rispetto. Se il monoblocco di Ettore Rossi faceva anche dell’imponenza razionalistica una sua caratteristica fondante, quello di Petrucci cercava l’armonia anche attraverso un moderno uso degli spazi. Non sorprende quindi che Petrucci, nato a Tuscania (Viterbo), il 13 aprile 1905, abbia ottenuto molti più consensi nel periodo post-bellico, realizzando numerosi interventi significativi tra cui la Mostra E.R.P. a Milano del '51; il Padiglione «Italia », quello dell'INAIL e il Padiglione «Remington» per la mostra d'Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo (Napoli 1952); le Mostre Mobili del Ministero LL.PP. che tra il '52 e il '53 percorsero le varie Regioni d'Italia, il «Treno della Rinascita », allestito a Roma, su vagoni ferroviari per le Forze Armate e Patto Atlantico nel '53; due Grandi Mostre viaggianti della NATO destinate all'Italia meridionale e alla Sicilia e, nel '55, il Padiglione del Governo Italiano alla Mostra Internazionale della Costruzione e dell'arredamento «Interbau», tenutasi a Berlino Ovest nel '57. Fu inoltre particolarmente importante il suo intervento all'Expo di Bruxelles del '58.
Come si vede dalla pianta, era previsto un ingresso separato per il traffico di servizio rispetto a quello del pubblico, entrambi comuque da via Emila che era l’arteria principale.

 

L’inizio del cantiere

Nel 1936, dopo quattro anni di ricerche, venne scelta l’area ove sarebbe stato effettivamente costruito l’ospedale. Rispetto all’ipotesi prevista nel bando, si optò per San Lazzaro, fra la via Emilia e la via Vignolese, a un chilometro e mezzo dal centro cittadino, perché permetteva il perfetto orientamento del fabbricato ed era di estensione sufficiente a permettere successivi ampliamenti, oltre che raggiunta da due vie di grande traffico con linee tranviarie e in prossimità di una grossa conduttura fognaria. Vicina al centro ma fuori da esso: questa era la caratteristica vincente dell’area dove sarebbe sorto il Policlinico. Rispetto alla prima versione il progetto subì diverse correzioni fino alla variante decisiva del dicembre 1936 (foglio 105) che prevede gli edifici orientati da nord a sud col monoblocco che – come oggi – ha il lato “Clinico” parallelo a Via Campi, e quello “Universitario” verso Via del Pozzo. Erano scomparse alcune caratteristiche significative come il Grande Pettine.
Come si vede dall’immagine, l’orientamento è, nella sostanza, quello odierno. Per giungere, però, alla planimetria attuale occorre dar conto dell’ultima discussione, quella relativa all’accesso principale, che comportava problemi di viabilità che preoccupavano il podestà e che avrebbe portato, infine, a prevedere l’accesso principale direttamente su via del Pozzo. Nell’aprile 1937, intanto, venne esposto alla 18° Fiera Chimico-sanitaria e ospedalieradi Milano il famoso plastico che tante preoccupazioni aveva provocato a Ettore Rossi[1]. Dal plastico si vede chiaramente la ciminiera che torreggia sull’officina.
Nel 1938 il progetto – ridotto a sette piani – veniva finalmente approvato nella forma definitiva ottenendo della Direzione generale della sanità pubblica e del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Da notare che era previsto di adibire a campo agricolo o a parco pubblico l’area che oggi è occupata dall’Università su via Campi. Nel marzo 1941 la ditta Raimondi di Ferrara cominciò a porre le palificazioni di fondazione, cioè i pali di cemento su cui avrebbe dovuto poggiare la struttura. Questo fu l’ultimo intervento nel cantiere. La guerra fermò il lavori anche se, almeno sino al 1943, il Consorzio continuò ufficialmente a operare.

Il volantino della Fiera di MilanoIl plastico mostrato alla Fiera di Milano

Bibliografia essenziale

  • Archivio di Stato di Modena, Genio, Ospedali, busta 28), Plastico originale
  • Archivio Storico Azienda Ospedaliero – Universitaria e Azienda USL di Modena, filza 32/1, fascicolo 4. 1937
  • Archivio Storico Azienda USL e Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena, filza 33/1. Planimetrie.
  • Congregazione di Carità di Modena, bando di Concorso Nazionale per la costruzione dell’Ospedale Clinico di Modena , Modena, Tipografia E. Bassi e nipioti, 1933.
  • Il nuovo ospedale clinico di Modena. Bando di concorso e relazione della Commissione giudicatrice , in L’Ospedale Maggiore, 1934, 4, pp. 239-243.
  • Il concorso per l’Ospedale Clinico di Modena in Architettura anno XIII, Luglio 1934, fascicolo VII, pp. 414-430.
  • Gazzetta dell’Emilia, Il nuovo Ospedale Clinico di Modena, 5.4.1934. Gazzetta dell’Emilia, Moderni orientamenti nella tecnica costruttiva ospedaliera, 5.4.1934. Andrea Giuntini, Giovanni Muzzioli, E Venne il Grande Spedale, Modena 2005.
  • Ospedale Clinico di Modena. Progetto degli Ingg. A. Braga e G. Casalis II premio, in L’Ospedale Maggiore, 1934, 6, pp. 375-381.
  • P. Nicoloso , Gli architetti di Mussolini, Milano 199, pp. 12-18 Ettore Rossi , Progetto dell’Ospedale Clinico di Modena in “L’Ospedale Maggiore”, 1934, 5, pp. 307-314.
  • S. Della Torre , Il rinnovamento dell’architettura ospedaliera in Italia: progetti degli anni trenta, in Gli ospedali in area padana fra Settecento e Novecento, atti del II Congresso italiano di storia ospedaliera : Montecchio Emilia, 14-16 marzo 1990, a cura di Maria Luisa Betri e Edoardo Bressan, Milano 1992,p. 182.
 
 
 
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